La sessualità vista da occhi di età diversa. Cosa è bene sapere sulla sessualità? Dall’infanzia alla menopausa.
Così su due piedi, è probabile che un adulto si attenga a questa definizione.
– Complesso dei fenomeni psicologici e comportamentali relativi al sesso […] diretti alla ricerca del piacere fisico e dell’appagamento psicologico mediante l’attivazione delle funzioni fisiologiche proprie degli organi genitali maschili e femminili, nonché l’insieme delle percezioni, istinti e desideri legati alla consapevolezza del proprio sesso. (cfr. TRECCANI)
I più giovani invece è questa
Aspetto fondamentale del comportamento dell’essere umano che comprende quegli atti (finalizzati alla riproduzione, alla ricerca del piacere ma anche sociali) che si sono sviluppati in relazione alle proprietà tipiche dell’apparato riproduttivo. […] l’ambito sessuale investe in modo massiccio tutta l’evoluzione e la crescita dell’individuo e coinvolge tutta la sua vita relazionale. (cfr. WIKIPEDIA)
Ma quale che sia la fonte e l’età di chi la va consultando, apparirà chiaro che per quanto autorevoli siano le voci cui ci si affida, poco e nulla in poche righe si può dire per imbrigliare quell’infinito crogiolo di sensazioni e sentimento, medicina e costume, scienza e spiritualità, che quelle quattro sillabe hanno la forza di ingenerare.
Del resto, lontanissima dal nostro intento è la pretesa di svelare qui il segreto per comprenderla e viverla al meglio, la sessualità. Piuttosto, vedremo di suggerire a chi lo vorrà pochi accorgimenti (medici o di semplice buon senso) per confrontarsi con più giudizio con questa materia piena di sfumature e variabili. La strumentazione minima indispensabile, diciamo, che secondo noi ognuno deve assicurarsi di possedere per intraprende quel viaggio tanto intimo e personale, e sempre differente per ogni uomo e ogni donna.
Perciò forse e meglio formulare la domanda iniziale in un altro modo:
COSA E’ BENE SAPERE DELLA SESSUALITÀ?
Bene, credo per cominciare la cosa giusta sia imparare a riconoscere quali sono tempi (o possiamo pure dire le stagioni) della nostra sessualità. È molto importante perché significa dopotutto imparare a conoscere meglio noi stessi, sapere cosa ci succede e come dobbiamo comportarci quando il nostro corpo cambia (è molto importante perché in fondo nostro corpo di cambiare non smette mai).
LA SESSUALITÀ NELLE DIVERSE FASI DELLA VITA
Il nostro sesso si forma prima ancora che veniamo al mondo. È la notizia più attesa dai genitori, seconda sola alla certezza del nostro buono stato di salute. Precisamente, è alla settima settimana che nel grembo materno iniziano a distinguersi i nostri caratteri sessuali. Fino a quel momento ciascuno di noi è orientato in senso femminile, indistintamente, anche se la separazione del corredo cromosomico (XX femmina, XY maschio) avviene già nel momento dalla fecondazione.
Quale che sia il nostro destino, fino alla settima settimana sono gli elevatissimi livelli di estrogeni della nostra mamma a definirci, a renderci cioè tutti democraticamente femminili. Ma da quel momento la comparsa dei caratteri sessuali, le gonadi, dà inizio a ciò che saremo di lì in poi: uomo oppure donna.
Ovaie e testicoli iniziano a produrre estrogeni e testosterone in risposta alla stimolazione ormonale femminile che viene dalla madre, per i maschi una quantità di testosterone dieci volte superiore a quella delle femmine.
Le differenze si faranno sentire ancora di più immediatamente dopo il parto, quando l’improvvisa mancanza del flusso estrogenico materno porterà le bambine a una sovrapproduzione compensatoria (di estrogeni appunto) e i bambini a una nuova vitalità di quelli maschili (testosterone), liberi per la prima volta dall’azione inibente degli estrogeni della mamma. Perciò succede che per i sei mesi a seguire (che sono cruciali) riconosciamo nei neonati un comportamento biologico ormonale molto simile a quello dell’età adulta (si pensi, ad esempio, che il ph dell’ecosistema genitale di una neonata dagli 0 ai 6 mesi ha gli stessi valori di una donna adulta).
A sei mesi poi, ritorna per così dire la quiete, la produzione ormonale cessa e i bambini tornano a essere quello che la letteratura c’insegna: innocenti, delicati (asessuati, ci verrebbe da dire scorrettamente).
Comincia l’infanzia, un periodo che rimanda alla leggerezza e alla spensieratezza, come se la natura dopo avere concentrato alacremente i suoi sforzi per assemblare i mattoncini della nostra sessualità nei 15 mesi successivi il concepimento (9+6), si prendesse infine una lunga tregua.
Ma attenzione, sarà pure una tregua, ma si tratta sempre di un periodo fondamentale, perché ove siano gli ormoni a riposo (pronti per l’esplosione della pubertà che verrà), sono al contrario dinamici, attivissimi, i ricettori psicologici. Sarà in questo tempo il cervello il vero centro della nostra sessualità, un foglio bianco, o meglio una scatola vuota pronta ad accogliere anche la più (apparentemente) insignificante informazione (che presto, con la pubertà, i nostri istinti biologici andranno a ricombinare, a reinterpretare).
L’infanzia è la stagione dell’imprinting, è il momento in cui dai nostri genitori (e non solo) impariamo più di quanto loro credano. Questo però non lo si pensa da sempre: fino ai primi del secolo scorso bimbe e bimbi erano considerati tutti alla stregua di candidi putti, buoni senza distinzione per le file dei cori di voci bianche. E poi è arrivato Freud.
Naturalmente per qualcuno l’austriaco è stato (ed è ancora) sgradevole: con i suoi studi sulle fasi dell’infanzia (orale 0/18 mesi, anale 18/36 mesi, genitale 36mesi/6anni, e latente 6anni/pubertà) sconvolge il dogma sociale per cui bimbo uguale innocenza, e per di più lo fa con una spocchia scientifico matematica molto irritante, e fosse nato cinque secoli prima, il rogo non gliel’avrebbe risparmiato nessuno. Ma sul rogo ci sono finite tante persone che col tempo s’è capito erano nel giusto e, piacciano o no, le ricerche freudiane oggi ci aprono gli occhi su un argomento molto importante: bisogna capire (i genitori innanzitutto) che seppure a riposo (fisicamente), la sessualità nei bambini si traduce in un costante accumulo di energia potenziale. Chi ha un po’ di dimestichezza con la fisica sa che l’energia potenziale a un certo dato momento deve trasformarsi in un altro tipo d’energia (cinetica, di solito). Nella sessualità dell’essere umano, uomo o donna che sia, quel certo dato momento si chiama ADOLESCENZA.
PROVE TECNICHE PER IL FUTURO
È la fase cruciale della nostra vita sessuale. Sarebbe sciocco (e pericoloso) crederla una semplice transizione biologica. il nostro corpo che si trasforma da bambina a donna.
Al contrario, è l’incipit della nostra identità sessuale, la matrice di comportamento che segna la vita di tutti, dal singolo alla comunità, influenza abitudini future, popoli, epoche, senza esagerare.
Fisicamente sappiamo di che si tratta (ci siamo passati, peluria, seni che si gonfiano, voce che cambia, nuovi appetiti). Psicologicamente il più delle volte non ne abbiamo la minima idea.
Il fatto è che dopo anni di quiete ricomincia improvvisa la produzione di ormoni, estrogeni per le ragazze, testosterone i ragazzi. Più o meno come accade nel periodo che va dal parto fino ai sei mesi di vita, con la non trascurabile differenza che il nostro cervello ora ha un bagaglio di stimoli e immaginifici lungo dieci anni e più, e che in nostri corpi sono quasi formati, strumenti a nostra imprecisata disposizione attraverso i quali soddisfare (o, come dovrebbe essere, imparare a soddisfare) nuovi e sconosciuti istinti.
È in questo preciso momento che ci rendiamo conto di quanta importanza abbia avuto l’infanzia: quella variabile (storico/ambientale/psicologico/sociale) che ci fa tutti diversi e che rende così complicato scrivere, descrivere, definire, capire e soprattutto viverla, l’adolescenza.
Teniamo presente che fino alla piena maturità il flusso ormonale che si attiva con la pubertà è altalenante, non è stabile, e di conseguenza non lo è quasi mai neppure l’umore di chi la sta vivendo. Frattanto è difficile che un ragazzo possa compiere questo passaggio con l’equilibrio e la disposizione mentale che sarebbero necessarie. Le ragazze allo specchio assistono al mutare rapido (e il più delle volte disarmonico) delle proprie forme e se la cosa poteva passare in sordina fino a cinquant’anni fa, inutile dire quanta frustrazione oggi, visti i modelli socio-culturali, comporti in una ragazzina la pur temporanea inadeguatezza fisica (un seno più grande di un altro, l’altezza spropositata rispetto ai compagni, e molto altro). Ricordiamoci (i genitori soprattutto, ricordino) che è nell’adolescenza che striscianti si insinuano i prodromi delle malattie alimentari, le più gravi, quelle stesse che poi difficilmente potranno essere curate nelle successive fasi della vita. Se non altro però le ragazze in questo momento delicato hanno modo di confrontarsi più o meno apertamente, tra loro e in famiglia: perché c’è la comparsa del ciclo, che è una tappa che non può essere taciuta, anzi, è un momento che si attende, cui ci si prepara: esso fissa ancora oggi (come da sempre, in ogni cultura, sia pure remota o tribale) il divenire donna. Meno preparati e spesso in balia di un senso di transitoria indefinitezza sono i ragazzi, per natura e cultura più solipsisti e per cui il confronto con i coetanei è confuso e spesso insincero: l’adolescente maschio il più delle volte si avventura alla scoperta della propria sessualità senza una bussola adeguata, spesso dando credito alle smargiassate di compagni sedicenti esperti.
Si abbia o meno una bussola o un libretto d’istruzioni, l’adolescenza resta il momento fondamentale in cui si scopre (è il caso di dirlo) sulla propria pelle che cosa significa attrazione sessuale e quale sia l’oggetto di tale attrazione, e anche il momento in cui in relazione a questo oggetto capiamo (e scegliamo) quali siano la nostra identità e il nostro orientamento sessuale. Ma siamo pionieri allo sbaraglio: la mancanza di prospettiva temporale, tipica della psicologia dell’adolescente e della generazione della vita quotidiana (Garelli), ci porta a pensare che la sessualità debba viversi senza preoccupazione del dopo. Perché le uniche preoccupazioni sono nel presente e si concentrano tutte su un unico assillo: sono adeguata/o? E il mio corpo lo è? E se lo è, lo è abbastanza? Adeguato/a alla vita, al sesso, al mondo, ai modelli di perfezione fisica e sociale che questo tempo mi sbatte in faccia? Non è cosa da poco, dato che è il senso di inadeguatezza il motore delle più grandi sciocchezze che si possano compiere in vita (tanto più in una fase come l’adolescenza in cui, abbiamo detto, per natura siamo portati a non pensare alle conseguenze future delle nostre azioni)
È chiaro che è questo il tempo in cui la famiglia ha un compito fondamentale (e così dovrebbe la scuola, per cui in un paese civile l’educazione sessuale dovrebbe essere scontata), quello di evitare che falsi pudori e imbarazzi lascino i ragazzi da soli. L’autodeterminazione sessuale nel mondo animale potrà avere un senso, ma nell’uomo restituisce un quadro statistico sconfortante (in Italia il primo rapporto avviene intorno i 16 anni, l’avvicinamento ai contraccettivi a 20; il 20% delle ragazze reputa il coito interrotto affidabile e il 46% sostiene di usare precauzioni fai da te (?!); in definitiva il 70% non usa nulla, tanto che ogni anno si registrano 15mila parti di minorenni, 4mila interruzione di gravidanza più un numero imprecisato di aborti clandestini, e su tutto un aumento costante e disarmante dei casi accertati di malattie sessualmente trasmesse). Imputare il tutto alla biologia, cioè dire che sono gli ormoni impazziti a rendere i nostri figli intrattabili e quindi ingestibili è stupido e controproducente, oltre che falso (le variabili psicologiche fanno capo all’infanzia e le responsabilità ai genitori). Neppure aiuta trincerarsi dietro silenzi nel nome del pudore oppure cercare di fare passare l’idea che tutto ciò che concerne il sesso a quell’età è peccato: stimoli alternativi e i cattivi maestri oggi sono dappertutto e di certo è lì che andranno a parare i ragazzi quando non ottengano risposte in famiglia.
In definitiva l’adolescenza è un momento difficile per i ragazzi che la vivono, ma è altrettanto difficile per chi di questi stessi ragazzi è responsabile. Si tratta dell’esame più importante per un genitore: dovrà stare vicino al figlio e insieme rispettarne privacy e libertà, suggerire come è meglio (e meno pericoloso) comportarsi senza temere di portare ad esempio gli errori cui la propria generazione è incorsa. È vero, ogni figlio, ogni adolescente è diverso, il testosterone impazza o latita talora senza logica, ed è difficile intromettersi con garbo nell’intimità di un figlio specialmente se i nostri genitori a loro tempo non ci sono riusciti (in fondo adolescenza è per antonomasia rifiuto dell’autorità paterna/materna), è tuttavia fondamentale provarci e mai, mai in nessun caso delegare al caso (o alla moda del momento) l’educazione sessuale, perché che lo vogliamo o no, ogni adolescente senza distinzione studierà questa materia, quali che siano l’insegnanti che si troverà davanti (genitori o amichetti o pessima televisione, non fa differenza). E studiandola come meglio può, e tante volte praticandola come meglio, conseguirà infine il diploma di adulto. Precisamente, sarà il momento in cui la sua produzione ormonale finalmente si stabilizzerà ed entrando nell’ETÀ ADULTA entrerà pure a far parte di coloro che saranno il modello sociale e sessuale per le generazioni a venire.
MECCANICA DI COPPIA
È la maturità, ovvero il frutto formato (maturo) di ciò che nell’infanzia è stato seme e nell’adolescenza è fiorito. O così almeno dovrebbe essere. Il tempo in cui uomo e donna hanno compreso e deciso quale sia la propria identità sessuale e nel quale in ragione di questa scelta agiscono, vivono, amano, invecchiano. Del resto maturità è un concetto tanto indefinito e soggettivo che darne spiegazione in poche righe sarebbe pretenzioso, se non assurdo (neppure profondersi in libri e trattati talvolta è sufficiente). Stesso vale il concetto di maturità sessuale. Proprio perché si tratta per ciascuno del risultato delle differenti esperienze, differenti infanzie e differenti adolescenze, specchio per altro delle vite (anch’esse diversissime) dei propri genitori, e dei genitori dei genitori. Possiamo tuttavia indicare quali sono i principi comuni a tutti, impersonali, dai quali prendono forma (a volte fluidamente, a volte invece ingarbugliandosi) i comportamenti erotici degli adulti del nostro tempo.
La sessualità nell’età adulta è uno dei comportamenti umani più complessi e indecifrabili ma ha sempre origine dall’interazione di tre fattori: fisico/biologici, psicologico/relazionali, socio/culturali.
Biologicamente deve darsi per scontata l’integrità dell’apparato endocrino (che regola la produzione di ormoni), dell’apparato vascolare e dell’apparato nervoso. Ove i primi due rappresentino in sostanza la meccanica del nostro corpo, potenza motore ed efficienza idraulica, è evidente quanto sia primaria la funzionalità del terzo, il centro di elaborazione, il cervello, la sua capacità di rispondere agli stimoli, di capire, elaborare, definire e produrre piacere. Biologicamente, un rapporto sessuale soddisfacente (maturo, post-adolescenziale per intenderci, quando ogni cosa dovrebbe essere formata come si deve) non può prescindere dall’efficienza di queste tre componenti, per ognuno di noi, indipendentemente dalla nostra storia familiare.
È poco romantico, ma vale la pena vedere come la macchina uomo si comporta in età adulta nel definire la propria territorialità sessuale (dando vita alla coppia, il centro nevralgico della nostra specie sociale). Funziona più o meno così. Quando uomo e donna s’incontrano per la prima volta il mesencefalo inizia a rilasciare dopamina (per dare coraggio e rompere il ghiaccio), contemporaneamente l’ipotalamo dice al corpo di inviare i primi segnali dell’attrazione (la pupille si dilatano, il cuore batte più forte, il viso si arrossa, un lieve strato di sudore imperla la pelle) e se l’altro reagisce in modo analogo allora il cervello comincia ad associare la sua presenza (la sua visione, il suo odore) a una senso di benessere. Negli incontri successivi cresce la produzione dopamina e comincia a prendere forma il desiderio dell’altro (dato dal ricordo del piacere che ci ha procurato e dalla voglia di provarlo ancora). Crescono anche i livelli di altri due neurotrasmettitori (noradrenalina e feniletilemmina) e si origina un mix chimico inebriante che dà eccitazione e vertigine (un effetto molto simile a quello di una leggera dose di anfetamina). Insieme però va diminuendo la serotonina, e questo porta alla comparsa dei primi sentimenti di ossessione. Quando il rapporto si fa più frequente (e serio) l’ipotalamo stimola la produzione di ossitocina che induce sentimenti di tenerezza e calore. Effusioni e rapporti sessuali innalzano ulteriormente i suoi valori (di ossitocina), mentre un altro ormone, la vasopressina, legato alla memoria, spinge alla fedeltà e alla monogamia. Dai 18 ai 30 mesi dall’inizio della relazione il cervello si è ormai abituato al mix chimico dei primi tempi e non si scatenano più reazioni altrettanto intense: è il momento più difficile, quello in cui le coppie più fragili si separano per andare ognuno alla ricerca di un nuovo partner con cui (ri)provare le emozioni dell’innamoramento. A salvare la coppia da questa presunta morte annunciata interviene (non sempre) quella complessa rete psicologica e sociale (in bilico tra esperienza e credo) che indefinitamente noi chiamiamo maturità, non esattamente un dominio della ragione sull’istinto (come spesso la si intende), quanto più una rispettosa coabitazione dei due. La perseveranza delle coppie sarà in ogni caso aiutata dalla biologia, stimolando la vicinanza fisica a lungo termine un altro neurotrasmettitore molto importante, l’endorfina (dall’effetto quasi oppiaceo), che riduce l’ansietà e infonde un senso di calma e intimità. Pur essendo meno eccitante della feniletilemmina, l’endorfina dà nell’uomo molta più assuefazione e a detta di molti è proprio lei la componente chimica essenziale di tutte le storie di coppia stabili e durature (e mature, possiamo aggiungere).
Attenzione, tutta questa tiritera da libro di scienze non riguarda prettamente il rapporto sessuale, ma è comunque sessualità, lo è eccome. E (posto che ci sia salute e integrità di apparati) sono accadimenti chimici comuni a tutti noi, indistintamente La stessa cosa non possiamo dire per le altre due componenti che determinano la sessualità adulta (psicologico/relazionali, socio/culturali), per cui “indistintamente” non è certo la parola adatta. Al contrario, sono componenti distinte, da popolo a popolo, da religione a religione, da paese a paese e a volte da persona a persona.
Vivere bene la sessualità adulta è come parlare correttamente una lingua e di lingue, badiamo, ce ne sono moltissime, ognuna con le sue sfumature e i suoi dialetti, ognuna con una storia e ognuna con i suoi neologismi. Con la differenza che, prendendo a ed esempio la nostra di lingua, non vi sono in materia di sessualità autorità riconosciute cui si decida di prestare ascolto, tipo Accademia della Crusca, né testi di grammatica approvati da queste autorità.
Ogni individuo potrà dirsi sessualmente maturo, a prescindere dalle reazioni chimiche e meccaniche convenzionali, nel momento in cui avrà fatto tesoro dei propri trascorsi, delle sperimentazioni adolescenziali e delle prime acerbe esperienze di condivisione sentimentale, e quando avrà la saggezza necessaria a elaborare i propri errori. Quando in un dato momento della sua vita sceglierà tra tutte quale sia la lingua (o meglio il linguaggio) in cui si riconosce, non ha importanza quale essa sia e con quale inflessione deciderà di parlarla, l’importante è che sarà quella la lingua che lo definirà come individuo e che lo porterà ad interagire con gli altri e tra tutti a trovare infine quella persona che (accidentalmente o per destino) abbia anch’ella scelto, in ragione delle sue esperienze di vita, la medesima lingua, con le stesse identiche sfumature e inflessioni. In questa persona, naturalmente, biologicamente, culturalmente, socialmente si riconoscerà. In questa persona, in definitiva, si riconoscerà sessualmente, e con lei potrà sperimentare (vivendo insieme, sbagliando insieme, imparando insieme) quella che chiamiamo età adulta.
PIÙ SODDISFAZIONE CHE MAI
Durante la gravidanza, si sa (o dovrebbe sapersi), i normali livelli ormonali delle future mamme cambiano molto. Gli estrogeni aumentano di 50 volte, il progesterone di 10 volte. In principio, bruscamente, questo porta molti cambiamenti, tanto nell’aspetto tanto nel comportamento. La mamma sperimenta sensazioni inconsuete: pressione bassa, giramenti di testa, sonnolenza, spesso nausea e vomito. Nonostante sia pensiero comune che un aumento di ormoni corrisponda ad un aumento di desiderio, queste nuove emozioni congiunte ad altre, ataviche, come la paura dell’aborto, lo sconcerto per le forme che mutano, il senso meraviglioso e insieme terrorizzante di sentire qualcosa che ci cresce dentro, tutte queste sensazioni insieme si traducono il più delle volte in una comune mancanza di voglia, soprattutto nel primo trimestre. Un po’ per volta però l’organismo si adatta al cambiamento, e nel secondo trimestre usualmente comincia quella nota sensazione di benessere che fa tornare limpido il desiderio di vivere la sessualità, e di viverla con nuovo vigore, considerata l’astinenza precedente e le nuove implicazioni psicologiche (il compagno non sarà più solo il partner con cui fare sesso, ma già il padre del proprio figlio, con cui fare e rinnovare l’amore). Ma, certamente, la sessualità (quella di cui stiamo qui parlando) la si vive in due, ed è perciò utile vedere anche come si comporti l’uomo durante questo delicato periodo della relazione. Non è un segreto che molti uomini possano provare disagio, in certi casi addirittura un blocco sessuale, durante la gravidanza della compagna. Tante volte dipende solo dall’ignoranza, può trattarsi cioè del semplice timore di nuocere al bambino (a riguardo lo si deve rassicurare spiegandogli che il feto è, diciamo, ben ammortizzato, al sicuro, isolato nel sacco amniotico, e che in nessun caso e dimensione l’organo maschile può entrarvi in contatto diretto, neppure nel più sfrenato dei rapporti ― viceversa, sappiano gli uomini che secondo recenti studi la penetrazione, sopratutto nell’ultima fase della gravidanza, può avere effetti molto positivi sul collo dell’utero). Tuttavia il più delle volte il blocco sessuale degli uomini durante la gravidanza ha ragioni più intime e psicologiche, talvolta indefinibili da loro stessi. Riguarda l’improvvisa trasformazione, da un giorno all’altro e sotto il loro occhi, del loro oggetto del desiderio. E non parliamo solo di forme, di pancione e lombi più floridi, parliamo di ciò che fino a ieri era compagna e complice sessuale e che oggi invece è grembo e madre. Non è il caso di scomodare Freud, ma qui credo sia lampante lo stridere dei due concetti, e come di seguito il loro coincidere possa indurre un brusco calo del desiderio (voglio dire, se il vostro uomo comincia a vedervi come la sua mamma, la frittata è fatta). Perciò quando il vostro uomo manifesti queste sensazioni (dovremo scoprirlo da noi, difficilmente lui l’ammetterà mai) oltre che a farvi accompagnare ai corsi di preparazione al parto (dove è possibile che di questo argomento già si discuta) non esitate a portarlo con voi a fare due chiacchiere con un esperto, un sessuologo o un terapista di coppia per esempio, lui accetterà la cosa di buon grado, perché tenderà ad essere molto condiscendente in quel certo periodo (proprio per quel notorio rispetto/timore reverenziale che nutrirà per il vostro lo status di madre). Ad ogni modo, è bene sia chiaro sia a lui sia a voi: la gravidanza non è mai un ostacolo per l’amore fisico (a parte naturalmente ove vi sia minaccia d’aborto o parto prematuro per cui presumibilmente sarà giusto sospendere temporaneamente l’attività sessuale, seguendo comunque l’indicazione del medico curante che saprà meglio consigliarvi a seconda del caso particolare), ma è giusto avvertirvi che in quei nove mesi gli equilibri di coppia possono subire piccoli o grandi sconvolgimenti (capita e capita spesso), può sopirsi o persino interrompersi la comunicazione erotica, però sappiate (soprattutto se si è alla prima esperienza) che la cosa dipende solo da ingenue preoccupazioni e inesperienza e quasi mai da cause patologiche.
Tornando alle mamma, se dal secondo trimestre abbiamo detto che la sessualità dovrebbe viversi con ritrovata lena, è pur vero che giunte all’ultimo mese la fatica fisica si fa sentire. La stanchezza, il peso del corpo (dei due corpi) e poi la paura per il momento che s’avvicina l’hanno di solito vinta sull’estro ormonale e le donne tendono perciò a sospendere ancora una volta i rapporti. Ma non se ne faccia una tragedia, lo ripeto: si tratta solo di normalissima, naturale, umana stanchezza, e non c’è nulla di patologico. Come di nuovo ripeto questo concetto fondamentale di cui ciascuna/o deve persuadersi per vivere serenamente la maternità: durante la gravidanza fisiologica non esistono controindicazioni a una normale vita sessuale. Ogni coppia ricerchi il suo equilibrio, comprenda e rispetti paure e timori di entrambi, con un occhio attento alle esigenze della mamma, ai suoi eventuali malesseri, sempre, e sopratutto nei primi mesi della gestazione.
Sperimentandolo sulla propria pelle, magari al secondo figlio, scoprirete che durante questa particolare fase della vostra vita i rapporti sessuali possono darvi più soddisfazione che mai.
UN NUOVO INIZIO
Crisi e sentimento.
Tenete a mente questi due concetti, ora che andiamo ad affrontare un argomento così delicato, la stagione che qualcuno definisce malinconicamente il tramonto della vita, quando la biologia piano piano va abbassando le armi e la produzione di ormoni si sopisce. Due concetti, un problema e un rimedio, che avendo la pazienza di seguire fino alla fine il ragionamento, capirete quanto siano importanti e legati l’un l’altro.
Crisi.
Gli ultimi cinquant’anni hanno cambiato tantissimo le abitudini degli uomini, la vita stessa, la sua durata, le sue fasi. E così andrà negli anni che verranno (la dottoressa Blackburn vince il Nobel per la sua ricerca su telomeri e invecchiamento cellulare e ci dice: attenzione, preparatevi, la vita si spingerà ben oltre…). Di questo passo dove andremo a finire? Si chiedevano le nostre nonne. Ma noi no, a noi davvero non va di farcela questa domanda, perché ― ammettiamolo ― è proprio una domanda da nonne, o da anziani più in generale. Il nocciolo della questione è proprio questo: che cosa significa oggi anziano. Di fianco a chi lo possiamo scrivere e dire questo aggettivo senza timore di sembrare indelicati, sconvenienti? A metà del secolo scorso, prima dell’accelerazione (scientifica e poi sociale) che abbiamo tutti inteso, immagino che dare a un 55enne dell’anziano fosse ragionevole, in un certo modo anche un segno di rispetto. Ma provateci oggi.
Ai primi del ’900 l’aspettativa di vita era su per giù di 40 anni, oggi si dice sia di 77 per gli uomini, 83 per le donne. Una volta si trattava di traguardi per pochi fortunati, ora l’età adulta e poi la vecchiaia sono mete (o tappe) che si danno per scontate. Pensiamo al 1950: nella maggior parte dei casi i sessantenni portavano già con se quelli che convenzionalmente riconosciamo come caratteri senili: già apparivano e si comportavano come anziani. Il più delle volte a quell’età non godevano più di buona salute: la mente li tradiva e non avevano più grandi aspettative, ma è un fatto che accettavano, naturalmente, serenamente. Ora è tutta un’altra cosa: nei soggetti sani è solo a partire dai 70 che iniziano a mostrarsi i primi veri acciacchi del tempo. Forse solo gli 80 permettono (tollerano) l’uso di quell’aggettivo così greve. Perciò sono questi ultimi tempi un territorio vergine in questo senso, non v’è cioè possibilità di guardare al passato per comprendere (imparare) dalla storia (pure recente) quali siano gli atteggiamenti opportuni per affrontare questa fase della vita (un sessantenne che viva oggi una crisi d’identità ― fisica e sociale, e, ce ne sono parecchi― se si guardasse indietro, se confidasse nell’esempio familiare dei suoi nonni, ma pure dei suoi genitori, bè, non farebbe che fomentarla questa crisi ― Ma come? Dovrei starmene in poltrona, alzare la cinta delle braghe, lenti bifocali, a ritagliare buoni sconto, io? Io che dentro mi sento un ancora ragazzino?).
Oggi, 2010, a vivere questa crisi ― fisica e sociale ― con maggiore intensità sono le donne.
Parliamo di donne ed età matura: parliamo di menopausa. Tra tutte le specie viventi quella umana è la sola a sperimentarla. La quasi totalità delle altre specie femminili non va in menopausa. Che detta più semplicemente suona così: tutte le specie femminili, umana a parte, non sopravvivono all’impossibilità di riprodursi. In realtà l’Homo Sapiens (di genere femminile) per migliaia di anni non è vissuto abbastanza per arrivarci, alla menopausa. La maggior parte delle donne vissute nel mondo perciò neppure l’ha mai conosciuta (e sperimentata). Storia recente, intendiamoci: in Italia la vita media delle donne nella prima metà del ’900 era di 43 anni, perciò… Ma oggi? Oggi che la vita media delle donne è di 83 anni? Oggi che ― abbiamo visto ― voltarsi indietro a cercare consiglio nel passato non porta a un bel nulla? Ebbene, le donne, le signore, dei nostri tempi (di questi tempi) devono imparare sulla propria pelle, per prime, come ci si comporta, come si affronta questa nuova importante, a suo modo inesplorata, stagione della vita. E i signori uomini, certo, devono imparare ad adeguarsi. Il primo passo (fondamentale) per accettarla e viverla è quello di svestirla di ogni connotazione negativa. Ed è senza dubbio la cosa più difficile perché la nostra cultura fonda il suo essere da sempre sulla famiglia, e più precisamente sulla procreazione. Per cui una donna che non può più generare tende a essere una donna inutile. Nel passato, anche in quello recente, abbiamo visto che la questione non si poneva― detto brutalmente: morivano molto prima perciò non era affar loro. Oggi, oggi che invece il problema si pone, conviene guardare alla menopausa appunto come a un traguardo, come a una conquista dei tempi recenti. Nuova e, ahinoi, senza istruzioni.
Attenzione, parliamo di un momento ricco di significati psicologici e sociali che non può essere affrontato solo in una prospettiva medica. La menopausa ferisce e tante volte abbatte i capisaldi dell’identità sessuale femminile (maternità, bellezza, lavoro) così tanto da compromette la qualità della vita della donna e della coppia. Oggi, passati i cinquanta, il benessere psicofisico dipende fatalmente dalla capacità o meno di ciascuna di noi di ristrutturare la propria identità sessuale. Come? Integrando quei valori (caposaldi) che sentiamo sfuggirci di mano via via con qualcosa di più profondo e duraturo, scoprendo in noi una nuova raison d’être. Francese a parte, non è certo cosa semplice. Non è facile oggi, voglio dire, se a sessant’anni al nostro fianco, nostro marito, il nostro compagno sente e vede in tv di coetanei di successo (uomini potenti in genere ― e badate alla parola: potenti, perché è questo il nodo gordiano), uomini che 50 anni fa sarebbero stati chiamati nonni o vecchietti, vederli concupire, sfoggiare e talvolta addirittura sposare, ragazze, ragazzine (l’età delle loro figlie, se non nipoti), e vedere il nostro uomo/marito/compagno che sente e vede quel certo potente con l’amante bambina, e poi volge lo sguardo di sfuggita su di noi, e noi intuiamo quanto dietro quello sguardo lui (che magari è perfino più giovane di quei signori che vede in tv), lui in quel momento si stia interrogando su quanto ancora lui stesso potrebbe essere effettivamente potente, e giovane, sì, giovane in definitiva, e no, non è per niente facile voglio dire, in quei momenti non è facile convincersi di quanto la menopausa sia una conquista, una cosa bella, ricca di nuove prospettive, no, affatto, capita invece che noi stesse in un sospiro ci domandiamo, e io? E io, io da quant’è che non sono più potente. Affatto, francese a parte, non è per niente una cosa semplice.
Ed è qui che succede: che fisico e società incrinano il loro equilibrio. Dove l’accelerazione dei nostri tempi ci ha portato, dove il nostro fisico non ci pare più all’altezza delle istanze che la società c’impone (paradossale, ma ci si ritrova in tarda età a rivivere quel senso di inadeguatezza già sperimentato nella pubertà). Del resto come non sentirci inadeguate in un tempo in cui un settant’enne irretito da una vent’enne non è considerato perlomeno patetico? Come sentirsi adeguate verso il nostro partner coetaneo se il mondo fuori sembra andare da tutt’altra parte? E quindi, molto spesso di questi tempi succede: la crisi succede.
Come dovremmo comportarci? Bè, proviamo a vedere.
Sentimento.
Per prima cosa impariamo a comprendere che i nostri compagni non sono tutti come quei potenti che dicevamo. Anzi, quasi mai: il più delle volte quei virgolette potenti, potenti non lo sono affatto, anzi il loro status è spesso patologico, una deviazione sociale e morale dettata probabilmente da gravi traumi e insoddisfazioni giovanili (del genere: per tutta la vita non sono stato capace di piacere a una donna allora accumulo denaro e potere, per poi da vecchio decrepito comprarmela, una donna ― ma, parliamoci chiaro, di potente qui non c’è nulla, qui si parla di sesso senza ombra di sentimento, sesso a pagamento in definitiva, acquistabile tra l’altro a miglior mercato lungo i viali di qualsiasi periferia, senza bisogno di tutta quella fanfara). Ecco, in ciò che ho appena detto ― un po’ cinicamente ― sta forse uno dei segreti per meglio combatterla la crisi. Avere la maturità di riconoscere dopo i cinquanta quello che è stato, è e sarà il sentimento. Comprendere e compiacersi, voglio dire, del sentimento che al di là del sesso (ma senza escluderlo il sesso, badiamo) siamo stati capaci di costruire insieme all’uomo che ci sta di fianco. E quando lui di sfuggita alla tv ci sembrerà porsi quella stupida questione in merito alla potenza e all’età, allora sorridere con sincerità, perché basta un niente, una mano appoggiata sulla mano, basta una foto di qualche hanno prima per mostrare di quanta reale potenza insieme siate stati capaci, qualcosa che quegli uomini alla tv che lui crede di invidiare nemmeno si possono sognare, loro, irrimediabilmente soli e irrimediabilmente vecchi, e tanto più passati e avvizziti quando al loro fianco impietosa si mostra la pelle di una ragazzina.
La crisi la vuole insinuare la società (quella che ci sembra andare da tutt’altra parte), ma il fisico, seppure rinfrescato con qualche accorgimento scientifico, fa sempre e comunque il suo naturale corso. Sta a noi accettare questo corso (infischiandocene dei messaggi deviati, i vorrei ma non posso che vediamo alla tv) e per mano (non solo metaforicamente) affrontare una nuova e discretamente duratura stagione, decenni sconosciuti che forse, primi nella storia, potremmo esplorare e far fruttare.
Sono un medico, e dal punto di vista medico e biologico l’unica nota che posso riferire circa la sessualità nell’età senile riguarda la profonda differenza tra menopausa e andropausa: una certezza biologicamente precisa e definita nel tempo la prima, indefinita e vaga invece la seconda (comprensibile, del resto nell’uomo, salvo particolari patologie, a produzione di testosterone va diminuendo dalla fine della pubertà in poi, sino a dimezzarsi, lentamente e costantemente, senza sbalzi, mentre nella donna la menapausa segna un violento collasso degli estrogeni che in un brevissimo arco di tempo scendono praticamente a zero). Portemmo discutere di terapie sostitutive e pillole per la virilità, ma è chiaro che, volendo parlare di sessualità in età avanzata (e non di sesso meccanico), il punto in essere dipenda da tensioni squisitamente psicologiche, ancorché mediche e biologiche. Da ginecologo allora, o meglio da sessuologo, posso dire quanto m’è dato di osservare nella pratica quotidiana: e cioè che la conseguenza diretta dell’allungamento della vita è stata senz’altro l’aumento sensibile delle famiglie coniugali nelle ultime età della vita (si è cioè ridotta la percentuale di anziani che vivono da soli). È perciò in coppia che si devono affrontare una serie di profondi e comuni mutamenti: il ritiro dal lavoro e il pensionamento, la rinuncia presto o tardi ad una vita economicamente attiva, l’uscita di scena dei figli (ora loro economicamente attivi) e l’inaspettata disponibilità di tempo libero. In due. Una nuova (nuovissima) stagione di coppia dunque. Che in un certo modo è sì quel famoso tanto atteso meritato riposo, ma che poi tante volte sancisce senza appello quello che forse negli anni in un modo o nell’altro s’era tentato di procrastinare: il faccia a faccia. E adesso con tutto questo tempo a disposizione di cosa ci occupiamo, se non di noi due? Succede spesso che i due partner si ritrovino estranei, un mondo da (ri)costruire: abitudini, impegni e relazioni sociali. E certamente, su tutto, l’intimità. Mio marito mi usa solo per cucinare e rammendare calzini, nient’altro. Mia moglie per me cucina e rammenda, nient’altro. Sul serio, il più delle volte c’è bisogno di ricostruire. Ritrovare senza figli quello che si era senza figli. Carezze dimenticate che a maggior ragione emozioneranno di più, novità. Che poi novità non sono, sono rimandi ai tempi più belli della vita, perciò non potrà che essere straordinario riviverli (e soprattutto riscoprirsi capaci di riviverli). In verità il potenziale passionale di quella che oramai non so se è più il caso di chiamare terza età è dirompente. Basta vincere l’imbarazzo (sì, avete capito bene, l’imbarazzo che come ventenni ci coglierà a sessanta, se non di più, di nuovo ragazzi capaci di rossori e risatine), l’imbarazzo che per se stesso è da sempre un corroborante di passione ed eccitazione. Vivere la sessualità sarà semplice e potente (perché l’esperienza insieme, il bagaglio di sentimento, renderà irrisoria ogni carenza fisica), a patto certo che si sia capaci di iniziare. Sfogliate un vecchio album di fotografie insieme, ho detto. Questo quanto a sessuologia, quanto a psicologia (con cui poi va a braccetto) basterà sbarazzarsi del senso di inadeguatezza coatto che la società cerca di imporre. Di nuovo, se il vostro uomo rimugina su (im)potenti di cui sente in cronaca provate a carezzarlo e sorridergli: difficilmente non gli sovverrà del vostro sentimento, di quello che è stato, dei figli che avete generato, e poi certo di come li avete generati, e di quando eravate voi i figli. E se lo vedrete arrossire fateglielo notare, che di sangue ancora evidentemente ne ha nelle vene…
In definitiva non ci è dato di consultare nessun prontuario. Come ho già detto, si tratta di una cosa nuova per tutti, la vita di coppia nelle ultime stagioni della vita. E come ogni cosa nuova ha bisogno di rodaggio, diciamo. E le difficoltà, le crisi, saranno sempre all’ordine del giorno. Tuttavia una cosa mi sento di dirla. Diffidate di chi buonista viene a dirvi che il sesso non ha età. È falso. Il sesso ha età eccome, molte e differenti. E l’ultima, come quasi per ogni cosa, di solito è sempre la migliore.