Per Eleonora, nata dopo il futuro granduca Cosimo II, si potevano sperare nozze importanti.
Se il primogenito avrebbe assicurato la continuazione del granducato e garantito la stabilità del potere mediceo, la secondogenita di Ferdinando I e di Cristina di Lorena avrebbe potuto aprire le porte, grazie a oculate e ben dirette strategie matrimoniali, ad alleanze importanti per il casato toscano, magari anche con possibili scenari internazionali. E invece così non fu.
La piccola Eleonora, nata nel 1591, ereditò il nome della nonna materna, la celebre Eleonora di Toledo, e ricevette, insieme a fratelli e sorelle, una formazione degna del suo rango, come sempre nella famiglia Medici.
La madre Cristina di Lorena aveva voluto per le sue figlie e i suoi figli un’educazione di ampio respiro che comprendesse la cultura antica e quella moderna, la cultura religiosa ma anche il sapere scientifico e quello musicale. Eleonora dimostrò interesse e predisposizione allo studio come testimonia il testo Vita e morte di Eleonora Medici, scritto nel 1617 da Alessandro Carpanti e dedicato a Cristina di Lorena. Alessandro Carpanti, assunto a corte come maestro, formulò una sorta di panegirico della ragazza che, liberato dall’inevitabile enfatizzazione propria di scritti del genere, offre alcune informazioni interessanti. Eleonora sapeva leggere sia testi in latino che in volgare, parlava il tedesco, lo spagnolo e la lingua francese, imparò a suonare il clavicembalo, la spinetta, il chitarrone e la chitarra spagnola. Sapeva inoltre danzare con leggiadria e abilità e altrettanto bene sapeva cantare, non disdegnando la vita all’aria aperta e le battute di caccia organizzate nelle numerose tenute della famiglia.
Le uniche proposte nuziali che la riguardano sono quelle fatte dalla corte medicea al re Filippo III di Spagna, vedovo dal 1611 dopo la scomparsa della moglie Margherita d’Austria. Le trattative videro Cosimo II, fratello di Eleonora, impegnato direttamente con Madrid in nome dei legami di parentela fra i due casati: il granduca aveva infatti sposato Maria Maddalena d’Austria, sorella della defunta regina di Spagna, e il possibile matrimonio con la non più giovanissima Eleonora sarebbe stato “una continuatione et proseguimento della istessa parentela”. La scarsità di notizie intorno alla vita della giovane donna inducono a pensare che la ragazza abbia sempre condotto una vita appartata, allevata “con tanta ritiratezza et gravità”, come scriveva il granduca Cosimo II alla corte spagnola ritenendo che fosse un pregio non da poco nell’educazione di una ragazza e un valore fondamentale per una futura regina.
Le trattative andarono avanti per alcuni mesi senza successo. La famiglia Medici premeva perché si concretizzassero presto per Eleonora i progetti matrimoniali, visto che per la sua età, come scrive il fratello Cosimo, “può meno indugiare” rispetto alle altre sorelle più giovani, Caterina e Claudia. Venne fatto il suo nome anche durante le trattative con la corte inglese (“Noi inclineremmo che alla Maestà si desse la maggiore“) e perfino con quella mantovana, anche se il vero obiettivo in entrambi i casi era far sposare la più piccola Caterina. Nulla di fatto: Eleonora era destinata a non maritarsi.
La madre Cristina di Lorena, affettuosa e vicina a tutte le figlie e a tutti i figli, la definì una giovane di fede e devota, di indole “dolce e affabile”; ma né il carattere gentile, né la cultura ricevuta e la vita ritirata cui era abituata furono elementi sufficienti a garantire al casato un matrimonio grandioso e a lei un ruolo di primo piano nello scenario del tempo. Scrive la storica Maria Pia Paoli: “Tanto sfoggio di cultura si rivelò poco appetibile sulla scena internazionale dei prìncipi; è ben noto che nelle trattative matrimoniali per la scelta delle spose da maritare ai figli primogeniti delle case regnanti prevalevano alla fine le pratiche considerazioni sulla bellezza, la sanità e la capacità riproduttiva delle candidate, più che sulla purezza del loro sangue o addirittura sull’entità della dote”.
Eleonora, dopo i tentativi falliti con la corona spagnola, rimase a Firenze in seno alla sua famiglia ancora per poco. Morì all’improvviso nel 1617 a 26 anni “per un male vehementissimo che in quattro giorni si può dire l’ha privata della vita”. Questo malessere profondo che la colpì sembrò all’inizio la conseguenza di un’infreddatura: “Il male della Ecc.ma Sig.ra principessa ch’è in cielo n’atribuiscono gran colpo a un cattiviss.mo tempo che fu il dì di S.t Martino, matino nel qual si fece una lotta solene di molti lottatori di diversi paessi nel cortille de Piti, et S. Ecc.a gloriosa stete a vedere a una finestra delle cammere di Madama S.ma [Cristina di Lorena] dove patti grandiss.mo fredo.” I dottori cercarono in ogni modo di curarla con clisteri, salassi, unguenti, perfino “un olio contra veleno” ma senza alcun risultato. Nei documenti del tempo si legge che “la S.ra Principessa Leonora in pochiss.mi giorni di un male molto impetuosa se n’è andata nell’altra vita. Cominciò il suo male con febbre continua, ma ella l’andò celando tanto diligentemente, con dire di esser solamente infreddata, che passarono cinque ò sei giorni senza che se le facesse rimedio alcuno, onde la febbre haveva preso tanto campo, che non bastarono rimedii humani salvarla. Madama [Cristina di Lorena] che era rimasta in Fiorenza con l’Arciduchessa [Maria Maddalena d’Austria], se ne venne subito qua [Villa La Petraia] per dar luogo al dolore et consolare il Gran Duca”.
Il dispiacere della madre Cristina si avverte fra le righe di una lettera di risposta inviata alla figlia Caterina, duchessa di Mantova,: “Serenissima signora mia figliola amatissima, non poteva giungermi, in tempo di tanta afflizione, cosa di maggior conforto della lettera di vostra altezza, la quale io assicuro che mi ha sommamente consolato la quieta resignatione che fa l’altezza vostra nelle mani del Signor Iddio, e sì come egli dispone il tutto per il nostro meglio, così lo prego, che per consolatione intera di tanta perdita, mi conservi la persona di vostra altezza […] Vostra Altezza mi scusi se non scrivo di mia mano poiché per ancora non ho la testa che mi serva. Amorevolissima madre Cristina granduchessa”.
Il testo è tratto dalla ricostruzione storica pubblicata in “Memorie” nel sito www.toponomasticafemminile.com