Lo stealthing consiste nella rimozione volontaria del preservativo senza consenso da parte della partner e viene, giustamente, recepita dalle donne sempre più come una forma di violenza sessuale, paragonabile ad un rapporto non consensuale.
Occupandomi principalmente di diritti e salute riproduttiva, ho letto con interesse e orrore quanto emerso da un recente articolo del Columbia Journal of Gender and Law[1] che, sulla base di testimonianze raccolte – il più delle volte – da centralini di primo aiuto per donne che subiscono violenza, affronta e inquadra giuridicamente la pratica chiamata stealthing. Tale pratica consiste nella rimozione volontaria del preservativo senza consenso da parte della partner e viene, giustamente, recepita dalle donne sempre più come una forma di violenza sessuale, paragonabile ad un rapporto non consensuale[2]. Il fenomeno, sempre più diffuso tra i giovani, espone le donne a rischi di diverso tipo: oltre a causare ferite emotive, è possibile contrarre malattie sessualmente trasmissibili come l’AIDS e subire tutte le conseguenze di una gravidanza indesiderata. Si comprende chiaramente dai racconti delle vittime come gli uomini si rivelino del tutto insensibili a questi rischi, considerati un qualcosa di molto lontano da loro, qualcosa che non li riguardi personalmente. Vivono cioè la sessualità come un’esperienza personale, una sorta di masturbazione durante la quale però la donna assume la stessa importanza che avrebbe una bambola gonfiabile. È un elemento interessante su cui riflettere: il rapporto sessuale è svuotato di ogni valore simbolico, non è richiesta partecipazione e ci si limita a viverlo come uno sfogo fisico di poco conto, una sessione di palestra. Come anche evidenziato dall’articolo, i promotori di questa pratica la ritengono espressione di un naturale istinto maschile, o addirittura affermazione del diritto alla dispersione del seme sempre e comunque. Ma di eventuali figli “chi se ne frega”. Dunque, dove stiamo andando? A cosa pensano esattamente coloro che sostengono che le donne oggi abbiano raggiunto soddisfacenti livelli di parità rispetto agli uomini? A me pare si scopra ogni giorno qualcosa di nuovo, in ogni parte del mondo, in grado di smentire o svilire qualsiasi conquista ottenuta dalle donne. E sembra quasi di essere ripetitivi, tutte le volte, quando si dice che l’unico modo per intervenire a salvaguardia dei diritti della donna e della sua salute sia una corretta educazione sessuale. Ma è proprio così. Cosa aspettiamo ad integrare programmi di prevenzione su larga scala in tutte le scuole? Cosa aspettiamo ad aumentare fondi a sostegno dei centri antiviolenza, affinché le donne possano liberamente chiedere aiuto e dare una definizione agli abusi vissuti? Dire che lo stealthing sia molto diffuso anche in Italia è effettivamente oggi difficile, proprio perché non c’è consapevolezza del fenomeno, e di conseguenza ci si può aspettare un alto livello di sommerso. Possiamo però concordare con quanto Alexandra Brodsky sostiene nel suo articolo: le donne che denunciano atti di stealthing lo fanno perché avevano dato il loro consenso ad essere “toccate dal condom” e non dalla nuda carne. La speranza è quella che le donne possano sentirsi meno sole nel raccontare quanto vivono, il disagio provato e la paura di affrontare una gravidanza indesiderata o una qualche malattia trasmessa dal partner. Ma ancor più importante sarebbe garantire adeguata tutela legale e completo sostegno alle vittime, perché questa è violenza e una volta per tutte va riconosciuta per quello che è. Pensavamo di aver fatto uscire dalla porta di casa il rapporto sessuale coniugale forzato, ed ecco che è rientrato dalla finestra con un altro nome e un’altra forma. [1] BRODSKY A., “Rape-Adjacent”: imagining legal responses to nonconsensual condom removal, Columbia Journal of Gender and Law, Vol. 32, N. 2, 2017 [2] Si legge nell’articolo: “In this way, survivors describe nonconsensual condom removal as a threat to their bodily agency and as a dignitary harm. You have no right to make your own sexual decisions, they are told. You are not worthy of my consideration.”, p. 5.