Ogni giorno in Italia vengono diagnosticati almeno 30 casi di cancro in persone al di sotto dei 40 anni, in prevalenza donne. Spesso la chemioterapia induce infertilità, ma oggi è possibile progettare una gravidanza dopo la guarigione.
Affrontare una battaglia per sconfiggere il tumore è una prova sufficientemente dura che sollecita le risorse sia emotive che fisiche dei malati. Fino a qualche anno fa si parlava di tassi di sopravvivenza e ci si congratulava con i ricercatori per qualche punto percentuale in più rispetto alle statistiche dell’anno precedente. Oggi i successi delle terapie farmacologiche ed i progressi nelle metodiche chirurgiche conservative, lo spostamento verso età più adulte dell’insorgenza della menopausa nelle donne ed il numero elevato di pazienti giovani, ci consentono di dissertare sulla qualità della vita dei pazienti che sopravvivono.
Ogni giorno in Italia vengono diagnosticati almeno 30 casi di tumore in persone al di sotto dei 40 anni, che rappresentano il 3% dei casi complessivi. In queste statistiche i pazienti femminili sono in netta prevalenza (più o meno 5.000 donne ogni 3.000 uomini, per darvi un’idea della proporzione), con malattie come il carcinoma mammario (il più diffuso in questa fascia di età), i tumori della tiroide, il melanoma, il carcinoma del colon retto e della cervice uterina. Data l’età a cui spesso le giovani donne ricevono la diagnosi e iniziano un percorso terapeutico, è logico porsi il problema della maternità, in conseguenza del fatto che i trattamenti usualmente messi in atto per curare il cancro (o, come qualche volta accade, il cancro stesso) possono causare infertilità. Inoltre affrontare la terapia mantenendo la possibilità di diventare madri, aiuta le donne ad essere più ottimiste, ad avere fiducia nel futuro e a mettere in campo le loro risorse migliori.
Molti oncologi raccontano che spesso un paziente giovane diagnosticato con tumore desidera a tal punto un figlio da essere disposto a rinunciare a trattamenti più efficaci pur di tutelare la propria capacità di generarlo. Ma che, non riuscendo a parlarne liberamente con lo specialista, vive la questione in maniera ulteriormente problematica rispetto a quella già pesante della malattia. Per le giovani pazienti è molto utile potersi rivolgere ad un servizio di counselling riproduttivo, che offra assistenza multidisciplinare specializzata anche dal punto di vista oncologico e psicologico, al fine di elaborare un percorso terapeutico condiviso che permetta la tutela della fertilità. Tuttavia il counselling non è disponibile in tutte le strutture e spesso si risolve in un breve e frettoloso colloquio, non esauriente e che lascia la paziente ai suoi dubbi. C’è anche poca informazione in merito: così può accadere che molte donne non accedano alle metodiche di preservazione della fertilità (oggi in Italia lo fa il 10% delle pazienti diagnosticate con tumore) semplicemente perché non ne conoscono l’esistenza. La dottoressa Giulia Scaravelli, responsabile del Registro Nazionale della Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) dell’Istituto Superiore di Sanità sottolinea l’importanza della costituzione di una rete dei centri di oncofertilità e aggiunge: “Finora, per sensibilizzare i medici sulla necessità di istituire percorsi ad hoc abbiamo organizzato dei corsi a Roma ed in diverse regioni italiane che speriamo di poter replicare in tutto il territorio nazionale”.
Da cosa dipende il grado di fertilità dopo chemioterapia. Anzitutto l’età: facile prevedere che i danni saranno maggiori se la paziente è più grande. In secondo luogo occorre considerare il tipo di farmaco somministrato e il suo dosaggio. Per citare un esempio paradigmatico, composti di comune impiego per la chemioterapia del tumore al seno come gli agenti alchilanti sono altamente tossici per le cellule uovo, mentre le antracicline e gli antimetaboliti lo sono in misura minore. Naturalmente anche la radioterapia è rischiosa, in funzione della sua intensità e dell’area esposta (se somministrata in corrispondenza dell’area pelvica sarà più pericolosa rispetto alla toracica, a parità di condizioni). Fondamentale anche l’organo colpito dalla patologia e la riserva ovarica all’inizio del trattamento, cioè il numero di follicoli (le strutture che contengono le cellule uovo), indicatore diretto della possibilità di concepire.
Come si può preservare la fertilità. Sono diverse e la loro percentuale di successo è relativamente alta. Applicabili anche insieme, consentono una possibilità di gravidanza compresa fra il 30 ed il 50% dopo guarigione. La procedura più conosciuta è quella della crioconservazione degli ovociti. In pratica si sottopone la donna a stimolazione ovarica e se ne raccolgono le cellule uovo, congelate in attesa del reimpianto dopo guarigione. Il limite principale è che si può applicare solo nel caso di pazienti che hanno a disposizione del tempo prima dell’inizio dei cicli chemioterapici. Il vantaggio è che può essere impiegata anche nelle pazienti diagnosticate con tumore che esprima recettori ormonali. La possibilità di congelare gli embrioni è invece proibita dalla Legge 40 del 2004 (Norme in Materia di Procreazione Assistita). Quando la paziente debba iniziare con urgenza la terapia, è possibile ricorrere alla crioconservazione del tessuto ovarico, che, in seguito alla guarigione, viene reimpiantato. Non è possibile sottoporre a questo trattamento le donne affette da leucemia o mutazione del gene BRCA, condizione che predispone allo sviluppo di tumore ovarico balzata agli onori della cronaca grazie al coming out di Angelina Jolie. La soppressione ovarica prevede invece la somministrazione di un farmaco che mette le ovaie in stand-by perché assorbano meno antitumorali. E’ un trattamento farmacologico e, come tale, non invasivo, che viene iniettato nel muscolo e non comporta tempi di attesa.
La gravidanza dopo il tumore è rischiosa? Il pericolo maggiore è quello della recidiva. La gravidanza comporta la secrezione di ormoni che hanno funzione anabolizzante, cioè attivano le cellule spingendole a moltiplicarsi. Dal momento che il cancro è causato dalla crescita cellulare incontrollata, un assetto di questo tipo può rappresentare per esso una breccia attraverso cui ricomparire. E’ l’oncologo a valutare il rischio che ciò accada.
Monica Torriani è moglie, mamma di quattro ragazzi, farmacista e blogger. Si occupa di Salute e Benessere per WELLNESS4GOOD, il sito che ha fondato.