La conoscenza tra Marisa ed Elena è cominciata da una telefonata. Per poi proseguire per la progettazione di un museo insieme.
“Pronto, sono Elena Giangiulio, parlo con Marisa Coppiano?”
Così ci siamo conosciute io e Elena – dapprima al telefono – ed insieme abbiamo affrontato la sfida di una importante gara di progettazione per un museo dedicato ai protagonisti di un periodo storico non così distante dall’oggi, mettendo a disposizione le esperienze professionali di ciascuna, intersecando competenze e specificità progettuali, attraverso un processo di reciproca fiducia.
Se penso ad Elena penso ad una donna di grande charme, che manifesta rigore e severità innanzitutto verso se stessa ma che al contempo rivela grande generosità e sensibilità, desiderio di leggerezza, voglia di grandi e intelligenti risate, alla costante ricerca di semplicità e divertimento, ma quelli veri….
Com’ è nato il tuo interesse per l’architettura?
Volevo fare la maestra. Poi a dieci anni un volo sull’Atlantico mi ha catapultata in questa terra, l’Italia, che avevo visto con gli occhi dell’adorazione di quei tanti italiani trapiantati, e mai adattati in un mondo di valori materiali; la bella casa con giardino e il barbecue nel fine settimana lasciano il posto a quella gioia interiore che sprigiona dalla bellezza delle forme, dell’arte, dell’eleganza e della raffinata cultura umanistica europea. Ero diversa da tutti; pronunciavo in modo strano parole come “bourrsa” (borsa) e “fourrsa” (forza). Per farmi largo dovevo studiare più degli altri, esercitarmi con una lingua nuova, cambiare abbigliamento e ascoltare musica italiana. Orgoglio e dignità mi hanno forgiata e indurita. Silenziosa coltivavo la pittura e cucivo abiti eleganti con sete e taffetà, in una famiglia dolorosa che accentrava su di sè ogni energia e accenno all’autonomia. Finalmente arriva il mio momento e scelgo di diventare architetto. Lavoro, studio, incontro l’amore e vivo una maternità incosciente. A 37 anni sono un pò di tutto, ma incompiuta. I cerchi non si chiudevano e la geometria ha le sue regole; un cerchio aperto è una linea e una linea diventa forma quando è chiusa. L’energia era dentro di me soffocata ma un giorno succede il miracolo. Mio figlio mi porta un foglietto di carta e su quel foglietto bianco c’era scritto tutto quello che volevo fare e essere. Un altro miracolo mi spinge oltre me stessa e finalmente divento Architetto: progetto e dirigo cantieri, viaggio molto, visitando luoghi di incredibile bellezza. Quando osservo il costruito di ogni epoca, penso a chi l’ha ideato e a chi ha messo in sequenza pietra su pietra, mattone su mattone e mi interrogo sulla responsabilità sociale dell’architetto.
Questo è il cortometraggio dei miei 54 anni e come ho scelto di diventare architetto, pur consapevole di non esserne degna. Non basta prendersi una laurea e un master. La professione dell’architetto è una cosa seria, un impegno sociale che non sempre si è chiamati o si è pronti a svolgere. Una semplice linea disegnata su un foglio bianco può cambiare lo stile di vita della gente rendendola felice o triste, può favorire la socializzazione o la segregazione, alimentare l’odio o l’amore.
Cosa significa per te fare architettura oggi?
La sua funziona primaria è quella di servire l’uomo, le sue esigenze, il suo bisogno di ritrovare initimità, socialità e protezione; questo da sempre, sin da quando i primi uomini incominciarono ad aggregarsi. Nel tempo l’architettura è diventata strumento di potere e – oggi sempre più – di virtuosismi, sofisticazioni e sperimentazioni più o meno felici. L’evoluzione delle forme del costruito e il loro linguaggio estetico sono espressione di culture diverse. La progettazione è l’atto di nobilitazione del costruire; segna il confine tra la casualità e l’ordine. Il segno è di nuovo l’inizio di un processo intellettuale in cui i bisogni primari dell’uomo vengono studiati e organizzati per migliorare la qualità della vita collettiva e individuale. Di qui la responsabilità dell’architetto che deve avere l’umiltà di interpretare i bisogni della società e del singolo, sacrificando sè stesso e la propria vanità. La genialità è quel raro caso in cui l’architetto rompe le regole, trasforma lo spazio e il modo di viverlo, interpretando e assecondando fabbisogni nuovi, ancora non manifesti. In questa idea dell’architettura e del ruolo dell’architetto io non trovo una collocazione perchè di fatto non esercito la professione nel senso più nobile ovvero con un ruolo sociale di rilievo. Esercito il “mestiere” dell’architetto che si è ritrovata a lavorare nel campo dei beni culturali con la velleità di rispondere ai bisogni/desideri del grande pubblico, oggi tristemente definito “fruitore” dei beni culturali e naturalistici. Mi sono ritrovata, senza grande merito, ad amministrare faticosamente aziende che sono gli strumenti che mi consentono di svolgere anche il “mestiere” dell’architetto.
E cos’è per te la bellezza?
Ho ben compreso che vivere a Roma o a Toronto fa la differenza ed è determinante nel forgiare la coscienza di ciò che è bello. Ma prima di tutto cosa intendo per la bellezza. C’è chi pensa alla grazia di un corpo, chi all’armonia della natura; Io penso alla luce, alle forme e all’equilibrio del costruito. E’ per questo che parlare di bellezza mi proietta istintivamente verso immagini di piazze, scorci prospettici, facciate, volte, cupole, vicoli: il costruito è testimone della storia. Amo la Roma barocca di Bernini e Borromini, l’architettura romanica, e mi emoziona camminare lungo gli argini del Tevere nelle ultime ore di sole. Un film che mi ha molto colpita è “The Belly of an Architect” di Peter Greenaway in cui le musiche di Wim Mertens ben esprimono lo struggimento interiore che provoca la bellezza del costruito.
Cosa pensi dell’attuale situazione professionale delle donne architetto?
Penso che oggi la professione dell’architetto sia in crisi sia per l’uomo che per la donna, indifferentemente. L’educazione universitaria italiana scadente ha provocato un’omologazione nella professione. Le nostre periferie, campi di sperimentazione e speculazione, esprimono questa decadenza. Ho vissuto alcuni anni in una periferia di Roma, dove gli edifici sono stati costruiti sui progetti dei tesisti della facoltà di architettura o ancora degli studenti dei vari corsi di composizione, in cui dominano I timpani, il disadorno, le facciate rivestite con ceramiche scadenti, i pilotis (con tutto rispetto per Le Corbusier), le pareti sottili, l’assenza di coibentazione, di isolamento acustico o di barriere al vapore, pannelli solari arruginiti, il quarzo graffiato e i centri commerciali abbandonati. Potevano essere luoghi di innovazione e ricerca, lontani dai vincoli della città storica; sono lì e vi rimarranno per molto tempo ospitando generazioni in cerca di quella intimità, protezione e socialità, fondamentali per l’equilibrio dell’uomo e per la pacifica convivenza.
Affermarsi professionalmente è più difficile per le donne architetto?
In generale ritengo che la cultura, l’educazione e l’esperienza, alla fine dei giochi, hanno sempre la meglio; ciò vale per l’uomo, la donna, lo straniero, e per ogni estrazione sociale. La condizione necessaria è che vi siano pari opportunità per tutti, e perchè ciò avvenga serve uno Stato democratico e liberale. L’Italia ha ancora molta strada da fare: le lobby non sono trasparenti e regolamentate, siamo tra i tre paesi più corrotti d’Europa, gli investitori stranieri lamentano l’incertezza della giustizia e la faragginosità della nostra burocrazia, gli imprendtiori sono braccati da un sistema fiscale che mortifica l’impresa, la politica è un sistema di facciata che nasconde poteri paralleli.
In questo contesto la donna architetto, prima di essere valutata per I suoi meriti, deve destreggiarsi e sgomitare in un mare abbastanza torbido per tutti.
Allora da dove cominciamo?
All’inizio erano le madri… e con questo riconduco l’origine della decadenza della nostra società alla omologazione generale ad un’educazione universitaria mediocre e alla dequalificazione etica.
La speranza è tutta al femminile.
La capacità delle donne di sostenere la vita e la loro attitudine alla responsabilità verso il creato, a prescindere che nella vita esse abbiano generato o meno, le conferiscono sapienza ed energia preziose per la società. Riabilitiamo la professione delle madri, conferiamo loro ogni aiuto necessario perchè possano crescere i propri figli, educarli e prepararli alla vita. L’educazione comincia in famiglia, è lì che germogliano tutti i mali della nostra società. La mia più grande fatica è stata quella di crescere mio figlio. Per i padri, parlino gli uomini.
Sei stata discriminata durante la tua carriera?
No, o almeno non me ne sono accorta. Se non ottengo i risultati attesi – da me o dagli altri – penso di non essere stata all’altezza e non che qualcuno mi abbia negato la possibilità. Ci provo a trovare cause esogene ma mi accorgo che sto bleffando con me stessa. Amo leggere le biografie di donne che sono riuscite a costruire carriere importanti e a dare un contributo decisivo alla conoscenza in tutti i campi del sapere.
“Nihil difficile volenti”.
Come è organizzato il tuo lavoro, cosa riesci a delegare e cosa segui personalmente?
Nel mio lavoro sono molto sostenuta dall’aiuto di altri. Sto imparando a delegare con responsabilità e con la consapevolezza che l’errore degli altri è anche mio. Ogni giorno imparo a gestire le mie debolezze e a rispettare quelle degli altri.
Sto lavorando su me stessa.
Una buona regola che ti sei data?
Prima di cominciare la giornata lavorativa scrivo ciò che devo affrontare e, possibilmente, concludere in quella giornata: la famigerata “to do list”. Purtroppo mi capita spesso di non riuscire a depennare nulla, ma almeno sono consapevole di non esserci riuscita. Sono in prima linea sempre: fornitori, avvocati, commercialisti, dipendenti e poi, proprio in ultimo, spesso fuori orario, mi occupo dei progetti. “Last in first out” come un pompiere e quindi le buone regole sono una chimera.
Il tuo working dress?
Abiti comodi e sobri ma sempre in ordine e mai disordinata. Mi sveglio presto e mi dedico ai miei rituali preparatori che sono più che altro di graduale risveglio.
Penso all’abito all’ultimo minuto.
Qual è il tuo rifugio?
La mia casa.
Ultimo viaggio fatto?
Viaggio a sorpresa con crociera sul Danubio.
Il tuo difetto maggiore?
Dicono che sono permalosa, e forse è vero, ma non serbo rancore perchè dimentico facilmente. Il male reiterato invece si cristallizza in me e a lungo andare spezza la corda, senza che me ne accorga. Capisco solo quando ho raggiunto il limite di snervamento ma… ho un’elevata resistenza meccanica!
Un consiglio alle donne
Non dimenticate mai di essere donne…..condizione necessaria per essere ottime architette.
Sto lavorando all’allestimento di due mostre che si terranno in meravigliosi luoghi che urlano un capitolo importantissimo della storia italiana ove, ancora una volta, il costruito è di una bellezza mozzafiato.
Purtroppo ancora non posso annunciare nulla.
Sto seguendo la fase di progettazione esecutiva di un parco tematico botanico che sarà aperto al pubblico nel 2018. E’ un intervento privato ancora non divulgabile pertanto dovrò tenere fede alla segretezza che mi è stata imposta dal committente.
Seguo da molti anni la edizione semestrale di una rivista dedicata al restauro e alla valorizzazione dei beni culturali (inglese e italiano): “ARKOS – Scienza Restauro Valorizzazione” con la direzione scientifica del prof. Adolfo Pasetti e la direzione editoriale dell’arch. Nicoletta Astuti.
La rivista è in vendita su Apple Store e Google play, prenotabile anche in versione cartacea su www.syremont.it
E prima di chiudere l’intervista chiedo a Elena di raccontarmi i lavori a cui è più legata ed Elena mi parla del Centro per l’Arte Contemporanea presso il Parco Archeologico delle Isole Eolie e “nell’ambito di questo appalto pubblico – mi racconta – abbiamo costituito un centro permanente di arte contemporanea annesso al Museo archeologico Bernabò Brea presso le ex carceri di Lipari e organizzato un Festival biennale di arte contemporanea e una mostra internazionale tra Italia e Cile, nell’ambito della Rassegna Internazionale Eolie – Tappe di viaggio sulle arti e sul design contemporaneo presso il Castello di Lipari. In ultimo un tributo al grande archeologo Bernabò Brea, allestendo una mostra permanente dedicate alla sua eminente figura”
L’altro lavoro per cui Elena sente una speciale affezione è la valorizzazione del Tempio di Giove Anxur a Terracina: un’area archeologica che ospita i resti di un tempio di età repubblicana, di un campo trincerato per la difesa della città e di un piccolo tempio annesso riutilizzato e modificato in età medievale come monastero. Ispirato alla grande architettura scenografica ellenistica, appartiene alla serie degli antichi santuari laziali ristrutturati in modo monumentale nella tarda Repubblica dell’Antica Roma, tra la fine del II sec. a.C. e l’inizio del I sec. a.C. Coadiuvata dal suo staff Elena si è occupata della progettazione delle infrastrutture per l’accoglienza dei visitatori, dallla biglietteria fino allo spettacolo di son et lumière e consegnato all’Amministrazione un luogo attrezzato e valorizzato per l’affidamento in concessione.