Motivazioni: Se le nostre vite non valgono, noi ci fermiamo!, luogo: in tutto il mondo democratico, durata: tutto il giorno a esaurimento energie, categorie coinvolte: tutte, private e pubbliche.
Appurate queste informazioni tecniche, bisogna rilevare che questo sciopero ha però qualcosa di differente da quelli che siamo abituate ad affrontare.
Perché questa volta scende in campo la “categoria” delle categorie, quella delle donne. Che per molti secoli, anni, giorni, dai tempi dei tempi fino a questo millennio di globalizzazione economica e digitale, è stata quella che ha mantenuto costantemente elementi di precarietà e sfruttamento rispetto ai valori che esprimeva.
Abituate ad affrontare ogni genere di situazione, le donne si sono di volta in volta, sottomesse, dedicate, adattate, ribellate ma con quel senso di responsabilità in più che non ha consentito loro di portare a termine la rivoluzione iniziata negli anni 70. Esse sono passate dal clamore del femminismo a un riordinamento silenzioso delle proprie file, riorganizzandosi in modi ubbidienti e disponibili al bene comune, operando collettivamente o individualmente, in gruppi o associazioni, nel territorio, nella famiglia.
Mentre i luoghi della rappresentanza istituzionale si sono sempre più rarefatti. Gli organismi di parità, istituiti con leggi e decreti, hanno perso sempre più autonomia e capacità d’iniziativa, in un ruolo spesso burocratico e privo di ascolto.
Sul fronte legislativo le leggi spesso non sono rispettate, in campo lavorativo esiste ancora il fenomeno della disparità salariale, il lavoro di cura non è sufficientemente sostenuto e quantificato, la rappresenta istituzionale è scarsa o fittizia, la politica culturale inadeguata. Infine il proliferare della violenza fisica e psicologica sulle donne, usata come ultimo, terribile, fenomeno di prepotenza e sottomissione tra individui.
La violenza di genere, è aumentata in maniera inversamente proporzionale alla crescita della modernizzazione e della globalizzazione. Anche la grande sfida della tecnologia ha sviluppato un sistema di uso e abuso di genere. La violenza contro le donne si manifesta in barba ad ogni legge e ogni controllo.
Le donne morte ammazzate, fatte scomparire, violentate, sfruttate e abusate sono diventate numeri di un lungo elenco, narrazione di cronaca nera, protagoniste di programmi di intrattenimento che ne firmano e filmano l’ultima violenza, condividendo così una responsabilità nell’alimentare il fenomeno anziché arginarlo.
Per tutto ciò e molto altro, le italiane hanno deciso di aderire allo sciopero Globale lanciato dalle donne argentine, che ha raccolto l’adesione di oltre ventidue paesi al grido di “Se le nostre vite non valgono, non produciamo”.
Tutte in piazza dunque, Non Una di Meno! Unite per continuare a lottare.
Le motivazioni, le analisi, le rivendicazioni che di questo sciopero fanno la sostanza vanno ben oltre lo slogan, per quanto ad alto valore simbolico.
Esso è prodotto “dal vissuto delle donne, dall’esperienza dei centri antiviolenza femministi, dalle condizioni materiali e dalle necessità primarie per costruire concretamente percorsi di fuoriuscita dalla violenza. Discuteremo delle forme e delle pratiche dello sciopero. Le forme tradizionali del lavoro e della lotta si combineranno con la trasformazione del lavoro contemporaneo – precario, intermittente, frammentato – e con il lavoro domestico e di cura, invisibile e quotidiano, ancora appannaggio quasi esclusivo delle donne, ancora sottopagato e gratuito. Sarà uno sciopero dai ruoli imposti dal genere in cui mettere in crisi un modello produttivo e sociale che, contemporaneamente, discrimina e mette a profitto le differenze” (non una di meno).
Sarà una giornata internazionale delle donne molto speciale che vedrà una mobilitazione eccezionale. Che sarà probabilmente raccontata e mostrata come fenomeno mediatico, sottoposto ad una conta di numeri, ad immagini ferme sui colori, sui volti, sui cartelli di quella femminilità troppo speso ignorata e quasi mai rispettata. Ma non dovranno essere queste le cose da mettere sul piatto della bilancia. Quello che dovrà pesare sarà la forza con cui le donne sapranno, ancora una volta, rivendicare alla politica, alla società, un cambiamento profondo e far prevalere la loro forza all’indifferenza.
Un cambiamento, quello che esse propongono, non egoistico, di genere, categoria, o ruolo ma di organizzazione completa e diversa della cosa pubblica, dove il diritto alla parità e alla cultura delle differenze contempli diritti e doveri di ognuno.