Ancora oggi quando si parla di ragazze e donne è visibile e tangibile la battaglia quotidiana contro gli stereotipi e immaginari che limitano le loro opportunità e potenzialità.
Ho trovato questo articolo di Katja Iversen sul sito del WEF. Ve lo propongo inframezzato da considerazioni/integrazioni personali.
“Le donne sono più adatte a fare figli che a fare soldi.” Sembra un pensiero ridicolo, ma su miti e pregiudizi come questo si sono basate le decisioni dei nostri antenati (e antenate) per generazioni.
Ancora oggi, purtroppo quando si parla di ragazze e donne è visibile e tangibile la battaglia quotidiana contro luoghi comuni e immaginari che limitano le loro opportunità e potenzialità. Contro questi muri le donne devono lottare, per poter fare passi in avanti in ogni ambito della loro vita. Questi muri vanno abbattuti per il bene dell’intera comunità e del Paese. Non è solo una questione femminile, non ci stancheremo mai di ripeterlo. Il nostro compito è smontare gli stereotipi. Cambiando cultura nella società, avremo cambiamenti anche nei luoghi di lavoro.
Le donne sono risorse ed agenti economici importanti, anche e soprattutto in tutti quei lavori di produzione e di riproduzione spesso invisibili e non riconosciuti/retribuiti.
Le donne ogni giorno superano le barriere di genere. Sono in grado di dare vita a imprese informali e formali a partire da un piccolo capitale. Sono capaci di creare reti per ottimizzare le risorse, il tutto continuando ad assumersi le responsabilità tradizionali di cura che gravano ancora in gran parte su di loro. Le donne resistono nonostante le leggi e le politiche pubbliche non sono “amiche delle donne”. Quindi abbattiamo una volta per tutte i falsi miti che ancora ci impediscono di investire in modo coraggioso sulle donne.
Per questo credo sia interessante riflettere su alcuni di questi “stereotipi/miti canaglia”.
1. Investire nelle donne non paga
Se si riduce il gender gap il Pil ne trae vantaggio. Secondo un recente rapporto del McKinsey Global Institute: se le donne svolgessero gli stessi ruoli degli uomini nel mondo del lavoro, si incrementerebbe del 26% il PIL globale annuo entro il 2025.
Eppure, c’è chi continua a privilegiare gli uomini in fase di assunzione, perché li ritiene maggiormente affidabili. Perdere competenze per via di un pregiudizio e perché non si vuole cambiare la cultura e l’organizzazione aziendale è pura follia. Un sistema miope e autolesionista, che non paga mai.
2. La disuguaglianza di genere non è un problema nei paesi sviluppati
Purtroppo il gender gap non ha confini geografici o isole felici.
Anche se molti paesi hanno compiuto progressi su alcuni aspetti della parità di genere, la disuguaglianza rimane alta. Negli Usa, ci sono solo 66 donne per ogni 100 uomini in posizioni di leadership e manageriali, e le donne fanno quasi il doppio del lavoro di cura non retribuito rispetto agli uomini. Nel frattempo, in Europa la situazione per le donne non è rosea. Tra le prime 100 aziende, gli uomini detengono l’89% dei posti all’interno dei consigli direttivi.
In Italia grazie alla legge Golfo Mosca, le donne nei vertici delle società, nei CdA sono quasi il 30%. Ma le disuguaglianze, le discriminazioni, le difficoltà a raggiungere posizioni apicali o semplicemente far carriera sono ancora ostacoli reali, che tante donne devono subire sulla propria pelle.
3. Il reddito delle donne non viene utilizzato in modo diverso da quello di un uomo
Una percentuale maggiore di reddito delle donne viene reinvestita nelle loro famiglie e comunità.
Questa prassi ha permesso di migliorare l’accesso all’istruzione, l’alimentazione e l’assistenza sanitaria.
Gli studi e le statistiche dimostrano che in termini di empowement economico non è importante solo un incremento del reddito di una donna, quanto il fatto che lei controlli questo reddito. Uno studio condotto in Brasile ha dimostrato che la probabilità di sopravvivenza di un bambino cresce del 20% quando è la madre che compie scelte economiche. Queste decisioni sono spesso intrappolate (subordinate) in consuetudini culturali sulla base del genere, dell’età, dell’etnia, della salute e delle gerarchie sociali in generale.
4. Le donne scelgono di lavorare meno degli uomini
Tuttora sono le donne ad assumersi un maggior carico di lavoro non retribuito, e hanno pertanto meno opportunità di lavoro retribuito. Anche a causa della scarsità di servizi di cura pubblici e a prezzi accessibili. Le donne sono una forma di welfare gratuito. Cambiare lo status quo, fornendo servizi acccessibili e di qualità è fondamentale se vogliamo incrementare la partecipazione delle donne al mondo del lavoro.
Le donne non lavorano meno degli uomini. In realtà, spesso lavorano di più. Il problema è che il loro lavoro spesso non è retribuito o è in nero – la cura di bambini o di anziani.
Sarebbe utile approntare un modello fondato su congedi parentali condivisi equamente tra i genitori, per ridurre quella che viene definita “motherhood penalty”.
5. La disuguaglianza finisce con l’aumentare del reddito delle donne
Dare alle donne il controllo sul proprio reddito determina la fine della disuguaglianza. Pensiamo anche a tutti i casi di violenza economica, quante donne anche in Italia pur avendo un proprio stipendio non ne hanno la piena e indipendente disponibilità.
I dati dimostrano che non è soltanto un aumento dei redditi di una donna, ma piuttosto il suo controllo su quel reddito che aiuta a raggiungere l’empowerment economico. Quando è una donna a tenere i cordoni della borsa in famiglia, è più probabile che la famiglia stia bene. Il programma brasiliano Bolsa Familia, che fornisce finanziamenti in denaro direttamente alle donne capo famiglia, ha permesso una riduzione del 25% delle disuguaglianze e del 16% del rischio di cadere in estrema povertà.
6. Le compagnie femminili non sono necessarie per lo sviluppo economico
Le compagnie di donne – comprese le cooperative, i collettivi, i gruppi di agricoltrici, le associazioni imprenditoriali e sindacali – sono spesso l’unica via per uno sviluppo economico sostenibile per molte donne in tutto il mondo.
Questo tipo di realtà sono in grado di offrire un rifugio sicuro in cui le donne con mezzi limitati possono mettere in comune e massimizzare le risorse, gestire il rischio, innovare e sperimentare, costruire competenze e capacità, essere guidate e imparare le une dalle altre, organizzare e sostenere i loro diritti, condividere le responsabilità di cura, generare autostima, e ricevere informazioni chiave su tutto, dalle informazioni di mercato alle guide nutrizionali, la pianificazione familiare e la salute riproduttiva.
7. Le politiche attente al genere, rivolte a famiglie e bambini, non valgono l’investimento
Negli USA, ogni dollaro investito in pianificazione familiare porta un risparmio di 7 dollari; in paesi come la Giordania, ogni dollaro porta 16 dollari di risparmio. Il Copenhagen Consensus ha mostrato che ogni dollaro speso per metodi contraccettivi moderni produrrà 120 dollari di benefici complessivi.
Le aziende che investono in politiche di genere hanno riscontrato alti rendimenti dai loro investimenti, tra cui un ridotto assenteismo e una maggiore produttività. Pensiamo anche all’assistenza sanitaria integrativa per le donne e per i loro figli quanto potrebbe essere utile.
Abbattere queste barriere è un obiettivo prioritario, nel mondo e in Italia. Quando osserviamo i dati reali e mettiamo da parte i falsi miti sulle donne, ci accorgiamo della ricchezza che potrebbe derivare da un allargamento della partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Si tratta di ridisegnare l’intero sistema, ristrutturare i compiti di cura, riequilibrare i pesi della genitorialità, sostenere la conciliazione e la condivisione dei compiti, la flessibilità per supportare il work-life balance. Le donne sono una risorsa indispensabile e propulsiva. Se le donne partecipano e lo fanno anche in posizioni di guida.
Iniziamo a diffondere la verità e costruiamo una società e una economia più egualitarie.
Al ritmo attuale, secondo la ricerca Women in Work Index 2017, a cura di PwC per l’Ocse, ci vorranno 95 anni per colmare il gender gap. L’attuale pay gap medio tra i Paesi Ocse è del 16%. L’Italia vede un pay gap del 6,9% e si colloca al 28° posto in classifica, non proprio ai primi posti.
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