Non tutti sanno che la “Madre” di queste attività è stata Rita Bartoli Costa, moglie del magistrato Gaetano ucciso a Palermo dalla mafia.
Oggi nelle scuole di ogni ordine e grado, anno dopo anno, si realizzano i “Progetti sulla legalità”: importanti iniziative rivolte ai giovani che rappresentano la società del futuro. Ma non tutti sanno che la “Madre” di queste attività è stata Rita Bartoli Costa, moglie del magistrato Gaetano ucciso a Palermo dalla mafia.
Era il 6 agosto del 1980, davanti ad una bancarella di libri, in pieno giorno, quando dei sicari posero fine alla vita del magistrato. Rita, davanti al corpo senza vita dell’uomo che aveva tanto amato, si inginocchiò. Tutti pensarono che stesse pregando, invece lei stava giurando a se stessa che avrebbe cercato giustizia, che non avrebbe taciuto nulla e avrebbe riferito agli inquirenti tutto quello di cui era a conoscenza.
Rita era nata a Mazzarino da una famiglia nobile, i baroni Bartoli. Fece i suoi primi studi a Caltanissetta e li proseguì a Palermo, dove incontrò il giovane magistrato con cui si sposò.
Indirizzò una lunga lettera al Presidente della Repubblica Pertini per chiedergli di assumere, come primo compito della Repubblica, la lotta contro la mafia. Quindi si rivolse alla Presidente del Parlamento Europeo, Simone Weil. E ancora: diede avvio come prima firmataria, assieme alla figlia, ad una petizione di donne siciliane e calabresi che raccoglierà migliaia di firme e verrà consegnata ai Presidenti delle due Camere. Era convinta del ruolo decisivo che le donne possono svolgere per sradicare dalla Sicilia la criminalità mafiosa. Rita si trasformò in una militante a tempo pieno. Le venne proposto dal PCI di candidarsi alle elezioni regionali della primavera del 1981 e, dopo alcune esitazioni, accettò. Era un modo per evitare di essere messa al muro.
Affrontò i comizi, le conferenze pubbliche, l’incontro con le donne dei quartieri e delle campagne.
Entrò all’ARS: piccola, magra, vestita di nero. Aveva quasi 60 anni ed una incommensurabile volontà di giustizia, che purtroppo sarebbe rimasta insoddisfatta, ma per la quale lottò fino alla fine.
Fu rieletta una seconda volta e si impegnò in un’attività legislativa volta a sostenere economicamente le famiglie delle vittime dei mafiosi, nonché ad incrementare nelle scuole l’attività di denuncia della criminalità mafiosa, sollecitando ed ottenendo specifiche iniziative del Ministero della Pubblica Istruzione per la educazione alla legalità.
Pensiamo che dare spazio alle parole tratte dal suo libro sia il modo migliore per ricordarla.
“Mio marito è stato ucciso a Palermo in via Cavour… con un libro in mano, l’hanno massacrato di pallottole in un angolo di strada... Quel giorno sono morta pure io. Poi il dolore si è trasformato in mortificazione. Per me che credevo nella democrazia, questa tragedia mi offendeva come donna, come cittadina…
Il delitto di mio marito è maturato in un clima politico e sociale molto pesante. Nello stesso anno a Palermo c’erano già stati altri omicidi eccellenti. Delitti in cui erano implicati poteri dello Stato.
Ho reagito subito. Ho capito che non potevo stare zitta. Sono convinta che non si può lasciare alla Sicilia un fardello di sangue e di vergogna così smisurato. Bisogna dividerlo fra quanti ne sono rimasti vittime trasformandolo in battaglia, in speranza. In questa lotta mi sono state vicine molte donne. E’ nata una solidarietà eccezionale fra donne di ogni parte del mondo… Come se il coraggio di tutte le altre donne si sommasse al mio. C’è pure chi mi è stato d’ostacolo. Chi mi ha mostrato una solidarietà falsa, di facciata. Chi mi ha ostacolato col suo silenzio. Gli ostacoli in Sicilia sono nell’aria. Sotto la pelle. Questo è un paese dove nulla si sa, ma tutto si sussurra.
Il silenzio fa crescere il rumore dei sussurri.
Io sono convinta che quello che ha dato veramente corpo in Sicilia all’antimafia è stata la legge a favore degli interventi nella scuola. I ragazzi recepiscono, capiscono. Se la legge fosse stata applicata a tappeto in tutte le scuole, oggi avremmo in Sicilia un forte baluardo contro la mafia. Educare i giovani ad una nuova coscienza civile è l’unica chiave per vincere la lotta alla mafia.
Bisogna insistere, portare l’antimafia fra i giovani…
Vasti settori della politica si sono nascosti dietro l’emozione per dare vita ad un’antimafia di facciata. Ma poi nei fatti si sono smentiti e sono diventati prigionieri della loro sporca coscienza.
L’omicidio di mio marito non ha avuto giustizia. Per una moglie è un grande dolore, ma per una cittadina è una grande mortificazione…
La mia grande speranza è di riuscire a vedere un giorno la Sicilia liberata dalla mafia dagli stessi siciliani. Senza ricorrere a invasioni militari o a leggi speciali. Coscienze libere che eliminano la mafia. Fino a non sentirne parlare più.”