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      Essere immigrati: il lutto invisibile dell’identità spezzata

      By Nurgül COKGEZİCİ31/05/20250
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    Home»Pari opportunità»i DIRITTI DELLE DONNE»Idea che non piace: il fertility day
    i DIRITTI DELLE DONNE

    Idea che non piace: il fertility day

    Cristina ObberBy Cristina Obber01/09/2016Updated:01/09/2016Nessun commento3 Mins Read
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    cartolina-fertilita
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    Ho due figlie e un figlio. Non li ho dati alla patria, ho dato a loro la vita.

    Non ho risposto a un dovere sociale, ma a un intimo desiderio di maternità. Perché quel corpo era mio, e di nessun altro.

    Vivo in un paese che pensavo laico e soprattutto impegnato con il rispetto della Costituzione ad allontanarci sempre più dal fascismo. Poi entro in rete e scopro che il Ministero della salute (non un gruppo di integralisti) ha istituito il Fertility day, una giornata per la promozione della fertilità. Una campagna con tanto di cartoline illustrate, dove la fertilità viene definita un “bene comune”, dove le scarpette in lana lavorate a maglia sono avvolte dal tricolore.

    946555_10200512912738368_1944628479_nSi esortano i giovani ad essere creativi facendo figli e poco importa se non avrai servizi, trasporti, asili; se il lavoro sarà ancora più precario, se per pagare un affitto ti priverai del cinema, di una sera a teatro, di un aperitivo con gli amici, di un viaggio. Ci sarà la tivù ad allietarti le serate facendoti sentire meno sfigata per dieci minuti.

    Una campagna in perfetta sintonia con l’esponenziale aumento dell’obiezione di coscienza negli ospedali pubblici che ti nega il diritto acquisito di non diventare madre (mentre l’aborto clandestino cresce con numeri che giovano solo a quei medici meno inflessibili nel loro studio privato).

    C’è la cartolina anche per chi non ha ancora assolto al suo “compito sociale” con tanto di clessidra che ricorda che il tempo passa e la fertilità diminuisce e poco importa se stai facendo altro, se la tua realizzazione personale passa attraverso altre esperienze.

    Ho tante amiche che non hanno figli, non li hanno desiderati e hanno desiderato altro. Le loro esistenze non sono meno ricche e soddisfacenti della mia, la vita sì è un contenitore (non l’utero) da riempire con le cose che vuoi.

    Il fascismo ci celebrava unicamente come mogli e madri, il femminismo ci ha liberate; dove ci porta ora questa gestione conservatrice di ambiti (salute, istruzione) che incidono quotidianamente sulle nostre vite fin dall’infanzia?

    Chi la desidera questa maternità ri-celebrata come orgoglio nazionale, che a Sanremo portò la famiglia Anania con i suoi 16 figli, una moglie muta e un padre fiero che li nominava per numero? Questa maternità che trionfa sulle passerelle sotto le note di Viva la mamma (dove i frutti della maternità sono ovviamente griffati dalla nascita), che ci vuole belle e seducenti con il pancione e con altri pargoli per mano, in cucina a mescolare il ragù più buono col tacco dodici mentre sogniamo una lavatrice più sofisticata?

    Non la vogliamo noi donne, non la vogliono le ragazze.

    Dateci servizi, lavoro, rispetto. Poi decideremo se pensare o meno alla maternità.

    Una signora anziana mi raccontò di non aver portato la fede al duce perché «Era mia, non del duce nè della sua guerra». Forse dobbiamo ritornare nelle piazze a gridare che l’utero è nostro, che la vita è nostra e ce la gestiamo noi.

    pubblicato su http://27esimaora.corriere.it/16_agosto_31/fertility-day-l-idea-dare-figli-patria-perche-non-mi-piace-deadb556-6f8d-11e6-856e-2cdca5568f05.shtml

     

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    Cristina Obber
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    Cristina Obber è nata a Bassano del Grappa il 9 novembre 1964. Iscritta all’ Ordine dei giornalisti, ha collaborato per cinque anni con un quotidiano vicentino. Nel 2008 ha pubblicato “Amiche e ortiche” con Baldini Castoldi Dalai, affresco dolce-amaro dell’amicizia al femminile. Nel 2012 ha pubblicato un libro sulla violenza sessuale, "Non lo faccio più" ed. Unicopli che ha dato vita ad un progetto scuole e al blog nonlofacciopiu.net. Nel 2013 ha pubblicato per Piemme editore il libro Siria mon amour, storia vera di una 16enne italo-siriana che si è ribellata ad un matrimonio combinato. Nel biennio 2009-2010 ha pubblicato con Attilio Fraccaro editore “Primi baci” e “Balilla e piccole italiane”, due libri in cui ha raccolto ricordi del primo bacio e ricordi del mondo della scuola nella prima metà del novecento. Collabora con Dol’s, il sito delle donne on line da svariati anni. Si occupa di tematiche legate ai diritti. Il 25 novembre 2011, giornata internazionale contro la violenza sulla donna, esce il suo primo e-book dal titolo La ricompensa (edito da Emma books), che si apre con una citazione di Lenny Bruce: La verità è ciò che è, non ciò che dovrebbe essere. Il suo ultimo libro è ''L'altra parte di me’’, edito da Piemme, una storia d’amore tra adolescenti lesbiche.

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    Per anni nessuno ha voluto pubblicare il suo roman Per anni nessuno ha voluto pubblicare il suo romanzo, L’arte della gioia, uscito dopo la sua morte (nel 1996 a 72 anni) e solo grazie alla dedizione del marito, Angelo Pellegrino. Il libro vide la luce nel 1998 presso Stampa Alternativa (e poi nel 2008 da Einaudi). Tollerata dai salotti intellettuali del tempo, dove era entrata grazie alla sua lunga relazione con il regista Citto Maselli, Goliarda Sapienza fu sempre insofferente nei confronti del mondo intellettuale e borghese. Attrice, scrittrice, donna libera, più irregolare che anticonformista, chissà cosa penserebbe dell’interesse che sta suscitando in questo periodo non solo la sua opera ma anche la sua vita.

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Lo studio delle lingue straniere alimenta la curiosità e stimola la voglia di apprendere in molte discipline anche ben diverse, soprattutto se sostenute da una capacità imprenditoriale. Questo lo dimostra la storia qui di seguito riportata di Marialuisa Portaluppi da noi intervistata.
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