Muori e non era scritto. Non era Previsto. Velocemente.
A volte stai a immaginare se un certo sintomo significa qualcosa di terribile e la mente si mette a correre e si fa visionaria, credendosi razionale: prefigura scenari funesti e talvolta, persino, si immagina il proprio funerale. E piange, pure.
Benchè sia solo immaginazione. Nella testa sta il futuro, a scapito del presente.
Poi magari sì, una malattia ce l’hai veramente, anche due, e allora stai lì a interrogare, interrogarti, chiederti se evolverà o guarirai…e quindi se hai tempo, quanto tempo.
Tutto nella tua testa pre-figura, pre-vede, tiene.
Poi pensi a chi hai amato ed ancora ami eppure una malattia atroce ti ha portato via velocemente. Neppure una stagione: due mesi.
V-e-l-o-c-e-mente.
Che cos’è però quella/questa velocità?
Nulla sta nella mia testa, eppure io voglio a tutto dare misura.
E tenere io il tempo.
Sicchè mentre pensi…e ripensi al tempo che una malattia ti lascerà o si prenderà, la morte non è interessata alla tua logica e neppure alle tue cartelle cliniche.
E prendi il treno…e muori.
Velocemente.
Come certe cadute dalla moto, un grande sasso di montagna in testa alla sorella di un mio amico, un infarto di notte al cuore di chi non aveva mai avuto neppure il colesterolo alto.
Veloce.
Più veloce di una parola pure breve.
Muori e non era scritto. Non era Previsto.
É una eccezione…eppure é regola: muori anche da bambino, anche a 40 anni, anche in buona salute.
Non esiste calcolo della probabilità attendibile.
Non esiste previsione possibile.
Che questo non ci dia angoscia, soltanto.
Ci dia la forza di considerare la morte seduta da sempre accanto e attraverso lei guardarci, guardare.
Per un attimo smettere di pensare e semplicemente….stare.
Nella vita, con la morte accanto, rinunciando a tenerla in testa, rinunciando a tenerle testa.
Con lei al fianco, il sangue che sta circolando, i piedi su un treno.
Prenderti, Morte, non per perderlo il senso.
Ma per ritrovarlo.
Velocemente.