LIBIA. L’ECCEZIONALITA’ DI SABRATHA NEL RACCONTO DI TRE VEDOVE DEL JIHAD
Era il volere di Allah e lui non avrebbe certo disubbidito. Sarebbe riuscito a riportare in auge l’epoca forse più gloriosa della storia islamica. Ne era assolutaente convinto Ibrāhīm ʿAwwād Ibrāhīm ʿAlī al-Badrī al-Sāmarrāʾī (alias Abū Duʿā), teologo ed ex qaedista universalmente noto con il nome di Abu Bakr al-Baghdadi. La proclamazione dello Stato Islamico in Iraq e nel Levante avrebbe rappresentato solo l’inizio di un percorso ambizioso, mirato alla riunificazione della Ummah (collettività musulmana) in un’unica grande nazione destinata a prevalere sul resto del mondo.
E la ragione per cui, a pochi mesi dal quel fatidico 29 giugno del 2014 (data di nascita del Califfato), si era affrettato a smistare un ingente numero di miliziani nelle aree più sensibili del medioriente e del nordafrica, con particolare attenzione alla martoriata Libia, orfana di una guida autorevole e devastata dai molteplici scontri egemonici conseguenti alla caduta del regime gheddafiano
Derna (colonizzata dai volontari della brigata libica Katiba al-Battar di ritorno dalla Siria), Bengasi e successivamente Sirte, assurta a roccaforte locale. Una dopo l’altra, le località di maggior rilevanza strategica ed economica si erano dunque ritrovate intrappolate nella stretta morsa califfale e pertanto costantemente insidiate sia dall’esercito libico (ormai decimato), che dai nuclei armati rivali del Daesh.
Realtà tuttavia estranee a Sabratha, brulicante di cellule islamiste libere di operare indisturbate oltreconfine. Una circostanza che non sarebbe nai emersa se le bombe sganciate il 19 febbraio scorso dai piloti statunitensi non avessero colpito un quartier generale dell’Is, causando la morte di molti jihadisti .
“Fino ad allora la nostra vita si era svolta normalmente“, ha raccontato Rhama al-Shekhawi, vedova tunisina 17enne di Noureddine Chouchane, uno dei comandanti militari più quotati che nelle stragi compiute al museo del Bardo di Tunisi e sulla spiaggio di Sousse avrebbe rivestito un ruolo non indifferente. “Giravamo per i mercati o trascorrevano il tempo nei saloni di bellezza. Gli uomini rimanevano qui in attesa di partire per Sirte o la Siria. C’era anche chi pianificava attacchi in Tunisia e stava dunque cercando di acquisire armi. Tutto avveniva alla luce del sole: le istituzioni locali non ci hanno mai ostacolato, sebbene fossero al corrente della nostra presenza. In questa città non esiste una leadership e ognuno fa quello che vuole“.
La ragazza è stata arrestata insieme ad altre due connazionali, tra cui la sorella Ghofran, moglie 18enne di un radicalista con figlia di cinque mesi al seguito. “Ogni gruppo era guidato da un leader che imponeva autonomamente le proprie direttive. Ad alcuni veniva affidato l’incarico di fabbricare passaporti per il Medio Oriente, qualcuno si trovava già nei paesi limitrofi”, ha precisato. “Altri invece rimanevano in Libia, ma essendo preclusa l’ iniziativa individuale non smettevano di importunare l’establishment siriano, che però li esortava a interpellare l’emiro di Sirte“.
Assenza di coercizione, elasticità gerarchica: una quotidianità difficile da ipotizzare. Ma l’incursione aerea degli Usa aveva sconvolto tutto: “Siamo stati costretti fuggire. Abbiamo vagato per giorni sperando di trovare aiuti a Zaywa, una cittadina non moto distante“: Wahida bin Mukhtar al-Rabhi è ancora scossa dall’accaduto. “La battaglia infuriava. Sentivamo spari ovunque. Bara (il figlio di due anni, n.d.r.) è stato colpito al torace e alla schiena. Allora mio marito ha cominciato a urlare ‘ci sono donne e bambini’ ma non è servito a niente. Lui è stato ucciso e l’identificazione del suo cadavere è toccata a me. Del resto, in quanto sudditi dello Stato Islamico eravamo condannati. Io sono stata picchiata da un manipolo di guerriglieri libici e poi gettata nel carcere di Tripoli. Ma non voglio che il bambino cresca rinchiuso. Mi piacerebbe poter vivere felice con lui“.
Rigorosamente in Libia, ovviamente. “Non tornremo mai in Tunisia. Là abbiamo sofferto la fame e siamo state perseguitate. Preferiamo un futuro incerto nella nostra nuova patria“, hanno puntualizzato all’unisono.
fonte: https://ritacugola.wordpress.com/2016/07/01/libia-leccezionalita-di-sabratha-nel-racconto-di-tre-vedove-del-jihad/